sabato 9 settembre 2017

Indian Creek


Una volta partiti i guardacaccia, la tenda che avevamo montato sembrò ancora più piccola. Restai lì in piedi, e tremai per una folata d'aria che mi sembrò correre lungo il collo. Era davvero casa mia ora? La mia casa per i prossimi sette mesi? Per l'intero inverno? Da solo? Alzai lo sguardo verso le pareti ripide e scure del canyon, che bloccavano già il sole di metà pomeriggio. Al di là di quelle pareti di pietra e alberi non c'era nient'altro che la natura selvaggia della Selway-Bitterroot. Ero solo nel cuore della natura.   
(Pete Fromm, Indian Creek)


Buon weekend, lettori in pantofole! Eccomi qua per parlarvi della mia ultima lettura. Una lettura fresca fresca, ho voltato l'ultima pagina giusto ieri, ma sento il bisogno di fissare un po' i pensieri, che in questi ultimi giorni hanno vorticato in luoghi inospitali, affascinanti, decisamente mozzafiato. Il diario/memoriale di Pete Fromm è stato relegato sugli scaffali per tanto tempo (mamma Laura l'ha letto prima di me e se volete conoscere anche il suo pensiero potete leggerlo qui), ma riscoprirlo in questo periodo è stata decisamente una bella avventura, un viaggio che non mi pento di aver intrapreso...


Fine anni Settanta: Pete Fromm è un giovane studente dell'università di Missoula (Montana) ed ha solo diciannove anni quando, per caso, scopre il programma della Idaho Fish and Games: monitorare e proteggere la schiusa di due milioni e mezzo di uova di salmone nel cuore delle Montagne Rocciose. La Fish & Game è alla ricerca di un uomo che trascorra l'inverno alla confluenza tra i fiumi Selway e Indian Creek per la modica cifra di 200 dollari al mese e Pete sa bene che quell'uomo non può che essere lui. Dopo aver fantasticato con Rader, il compagno di sempre, su cacciatori, uomini di montagna e grandi avventure, ha finalmente trovato la sua occasione, la sua storia da raccontare. E così in compagnia di una cagnetta, l'inseparabile Boone, e armato di una buona dose d'incoscienza, Pete parte alla volta della Bitterroot National Forest. Ma cosa significa vivere in una tenda di tela, solo, nel cuore delle Montagne Rocciose? Pete ancora non lo sa, non sa che la sua casa per sei mesi sarà la gola di un canyon a sessanta chilometri dal valico e a più di cento dal primo insediamento umano. Non sa che la notte le temperature scendono a meno quaranta gradi sotto lo zero, che dovrà fare i conti con la natura selvaggia, la solitudine e soprattutto con se stesso. Ma Pete Fromm non si tira indietro e il suo non è solo il racconto di un'avventura incredibile, ma anche quello di un ragazzo che si fa uomo, che muta il suo punto di vista sul mondo e prende coscienza di sé e della realtà che lo circonda...

IL MIO PENSIERO
Quella prima sera nella mia tenda rimasi seduto a lungo sulla catasta di provviste, sbalordito di trovarmi davvero lì.
Inizia così il diario/memoriale di Fromm, con un giovane Pete, solo, nella sua tenda alla confluenza tra il Selway e l'Indian Creek, per la prima volta cosciente di dove lo abbiano condotto le sue romantiche fantasticherie di libertà e avventura. I racconti di montanari e cacciatori che avevano riempito la sua testa e quella di Rader, il compagno di stanza all'università di Missoula, si sono magicamente materializzati nell'offerta della Idaho Fish and Games ma la realtà è ben diversa dalla carta stampata e Pete avrà sei lunghi mesi per rendersene conto.
L'incoscienza e la spensieratezza di Pete mi hanno colpito da subito (e in negativo), della serie ma cosa diavolo stai combinando? Stai per partire per un viaggio di sei mesi in mezzo al nulla e l'unica cosa a cui pensi è sbronzarti con gli amici e accumulare cose inutili da portarti dietro? Sì, all'inizio Pete è proprio così, incosciente e un po' folle: Solo quindici minuti prima che i guardacaccia bussassero alla mia porta realizzai che non avevo davvero la minima idea di dove stessi andando.
Ma bisogna dargliene atto, il ragazzo ha avuto fegato, non si è tirato indietro, ha stretto i denti e imparato dai suoi errori. Del resto ha avuto la migliore delle insegnanti possibili, la natura incontaminata, che sa essere spietata, feroce, crudele ma anche rasserenante, avvolgente, drammaticamente splendida, e Pete la sperimenterà in tutte le sue sfumature. Seguiamo il suo iniziale entusiasmo, le prime incertezze, le paure e le angosce ma anche le piccole conquiste, il lavoro quotidiano, la caccia come risorsa e sostentamento, il tentativo di trovare il proprio posto in una realtà selvaggia e desolata. 

E piano piano scorgiamo anche i cambiamenti in Pete, il suo modo di vedere le cose, percepire la realtà, affrontare le avversità: un romanzo di formazione, ecco cos'è Indian Creek e una dichiarazione d'amore verso l'altra grande protagonista di questo libro: la natura. Pete Fromm è stato capace di farmi visitare e vivere le foreste del Bitterroot, le sue gole e i suoi anfratti, attraverso descrizioni vivide e ricche di sentimento. Ne ho assaporato la potenza, la minaccia, la bellezza, ho fissato gli occhi selvaggi della lince, mi sono indignata per la morte priva di senso di un puma, ho assistito alla caccia solitaria a un alce e alla sua macellazione. E ho visto l'Indian Creek mutare con il passare delle stagioni: i colori cupi e le ombre dell'autunno, il bianco immacolato e pungente dell'inverno, i colori di fiori e piante che timidamente fanno capolino con il disgelo, eppure niente può battere le luci di una notte gelida: Mi chinai per attraversare il lembo della tenda e finii in un mondo argentato. La luna piena era salita sopra il muro di montagne che mi accerchiava e ora brillava sul mio universo innevato. Le distese di neve intatta riflettevano la luce e gli alberi la rimandavano in ogni direzione, tanto che alla fine non restava quasi più ombra. Rimasi incantato, seguendo le tracce dei miei passi attraverso la neve sul prato, incapace di credere a quella luce spettrale.
Pete Fromm è solo nel cuore delle Montagne Rocciose e questa malinconia pervade di sé gran parte del libro eppure il suo universo è brulicante di vita: c'è Boone con il suo entusiasmo canino, ci sono i guardacaccia in visita alle postazioni di controllo, ci sono i cacciatori (di alci, di puma, di orsi) ci sono scoiattoli e tetraoni, mufloni e lontre e poi ci sono i piccoli e delicati salmoni che dovranno percorrere migliaia di chilometri per giungere all'oceano e poi fare ritorno. Quei salmoni che molti anni più tardi, Pete Fromm mostrerà agli occhi stupiti e curiosi dei propri figli. Perché l'autore ha impiegato dodici anni per mettere nero su bianco il resoconto di quell'inverno nel cuore delle Montagne Rocciose, quell'inverno che gli ha cambiato la vita e gli ha consegnato la sua storia da raccontare: Quando la strada fu libera ci rimettemmo in marcia, lasciando alle spalle Boone, la mia primavera e i miei salmoni. Anche se ero venuto lì semplicemente per avere una storia da raccontare, passò un bel po' prima di trovare qualcosa da dire. 
Tre pantofole e mezzo. Purtroppo devo ammettere di aver trovato la traduzione un po' ballerina e non sempre precisa e ciò ha appesantito la lettura ed è un peccato perché Indian Creek è un memoriale e un resoconto di viaggio davvero sentito ed emozionante. 

Pete Fromm ha scritto anche romanzi e short stories inediti in Italia e devo dire che spero di poterci mettere le mani o, perché no, di vederli pubblicati anche da noi. Intanto vi lascio tutti i dati del volume. Tra l'altro ne è uscita una nuova edizione, probabilmente corretta e riveduta, e di questa vi lascio le info:

PETE FROMM

Indian Creek
(titolo originale: Indian Creek Chronicles)
editore: Keller Editorepagine: 256; EAN: 9788889767894
data di pubblicazione: 20 marzo 2017
brossura: € 16.00; acquistalo su: Giunti al Punto

Per uno studente di biologia della fauna selvatica, innamorato dei libri di Henry Thoreau e dei racconti di montagna, il programma dell'Idaho Fish & Game è un'occasione imperdibile: monitorare e proteggere la schiusa di due milioni e mezzo di uova di salmone nel selvaggio Selway-Bitterroot. Solo che il ventenne Pete Fromm non può immaginare cosa significhi veramente vivere un intero inverno - ben sette mesi - da solo sulle Montagne Rocciose, alla fine degli anni Settanta, in una tenda in tela a oltre sessanta chilometri dalla prima vera strada e a cento dal primo insediamento umano.
Comincia così un'avventura incredibile, un romanzo di formazione divertente, di un realismo crudele e soprattutto vero, anzi verissimo, con temperature che arrivano a quaranta gradi sotto zero e la neve a coprire ogni cosa, con imprese nelle quali il giovane Pete deve dare fondo al proprio istinto di sopravvivenza, e situazioni che lo obbligano a rapportarsi con limiti e sogni, con se stesso e la solitudine. E onnipresente, la natura in tutta la sua potenza; dapprima usata, temuta, incompresa e poi, in quello che è uno straordinario finale, vera e propria compagna di vita in un rapporto essenziale e autentico, quasi ancestrale, e scevro di ogni ideologia.

CHI È PETE FROMM:
è nato nel 1958 a Shorewood nel Wisconsin e si è laureato in Biologia della fauna selvativa presso l'Università del Montana. Ha vinto per quattro volte il Pacific Northwest Booksellers Literary Award ed è autore di cinque raccolte di racconti, due romanzi e un libro di memorie. Nella sua vita ha fatto il bagnino, il ranger, lo scrittore e, ovviamente, il guardiano di uova di salmone.



Durante la lettura inevitabile è stato il parallelismo tra l'esperienza di Fromm e quella tragica di Chris McCandless anche perché alcune esperienze dei due sono state simili anche se diametralmente opposte nell'esito: vedi la caccia all'alce e l'intossicazione alimentare. Non ho potuto fare a meno di pensare che Fromm sia stato accompagnato anche da una buona dose di fortuna. Comunque questo parallelismo mi porta alla musica, e quindi da Into the wild ci andiamo ad ascoltare la bellissima No Ceiling di Eddie Vedder, qui nella versione live dal Warner Theatre di Washington D.C.:

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